Are you lost in the world like me?

<<Vivere in un mondo iperconnesso comporta che ogni persona abbia, di fatto, una specie di identità aumentata: occorre imparare a gestirsi non solo nella vita reale, ma anche in quella virtuale, senza soluzione di continuità. In presenza di un’autopercezione non perfettamente delineata, o magari di un’autostima traballante, stare in rete può diventare un vero problema: le notizie negative, gli insulti e così via colpiranno ancora più nell’intimo, tanto più spaventosi quanto più percepiti (a ragione) come indelebili. Nonostante questo, la soluzione non è per forza stare fuori dai social network.>>

In queste poche righe Vera Gheno, sociolinguista, e Bruno Mastroianni, filosofo della comunicazione, autori del libro “Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”, racchiudono il senso di smarrimento, le paure e l’iper-vulnerabilità legati all’iperconnessione. Ma, al tempo stesso, ci propongono una soluzione, sottolineando una possibile via d’uscita:

Ognuno di noi ha la libertà di narrare di sé solo ciò che sceglie. Non occorre condividere tutto, e non occorre condividere troppo.

La maggior parte degli appartenenti alla Generazione Z o Digitarian sono iperconnessi e fanno fatica ad immaginare un’ora della propria giornata senza il cellulare tra le mani.

Viviamo in una società guidata dalla tecnologia, una società multischermo, in cui Internet e i social network sono visti come strumenti essenziali per divertirsi, informarsi e soddisfare i bisogni di socializzazione e relazione.

Le nuove regole di comunicazione e interazione si costruiscono sugli spazi virtuali come Instagram, Facebook, TikTok e altre app social. Su queste piattaforme noi non siamo più solo semplici consumatori, ma costruttori della nostra identità aumentata.

Tutto ciò la dice lunga sulla dipendenza che i mezzi tecnologici hanno creato in ognuno di noi.

così iperconnessi, così fragili

Alcuni studi hanno dimostrato che la dipendenza e l’alienazione causata dal phubbing – l’azione di trascurare il proprio interlocutore fisico per consultare spesso il cellulare o un altro dispositivo interattivo – ha serie conseguenze sulla salute mentale, fisica e sociale degli adolescenti e può portare più facilmente a insorgenza di stress e depressione.

In questo scenario fortemente iperconnesso e interconnesso, inoltre, andiamo incontro a numerosi rischi, che vanno dalla disinformazione alla dismorfia, passando per cyberbullismo, odio e violazione dei dati personali. Per salvaguardarsi non bisogna per forza rinunciare alla tecnologia e a Internet, optando per digital detox, cancellandosi dai social media e smettendo di usare lo smartphone. Si può usare la tecnologia in modo consapevole, riconoscendo sia pericoli che vantaggi.

Lo smartphone riduce l’apprendimento degli studenti

Gli effetti negativi sull’utilizzo intensivo e precoce degli smartphone tra i bambini cominciano ad essere dimostrati da studi di ampia scala, che confermano gli effetti negativi sul fronte dell’apprendimento e delle performance scolastiche. L’indicazione è rilevante, perché va oltre le semplici correlazioni: giunge, infatti, da una ricerca dal titolo “Earlier smartphone acquisition negatively impacts language proficiency, but only for heavy media users. Results from a longitudinal quasi-experimental study”, condotta su dati Invalsi dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi) e dal direttore del Centro Benessere Digitale di Milano-Bicocca-Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale.
La ricerca ha riguardato 1.672 bambini e ragazzi tra i 10 e i 14 anni, cercando di capire le differenze di apprendimento tra chi riceve il dispositivo prima dei 12 anni – già a 10 e 11 anni (capita in un caso ogni quattro alunni) – e chi lo riceve negli anni successivi, cioè a 12, 13 e 14 anni. Il risultato?

Chi termina le scuole medie, avendo utilizzato precocemente lo smartphone, fa registrare performance scolastiche peggiori.

E vale anche per gli studenti più motivati allo studio. Il “danno” su conoscenze, capacità e competenze riguarda chi, in generale, utilizza device prima dei 12 anni: ad esempio, tra chi non usa lo smartphone precocemente, l’impatto negativo e significativo sull’apprendimento in italiano si registra anche sugli alunni che si sono esposti più di due ore al giorno alla visione di Tv e videogiochi.

Oggigiorno molti bambini e molte bambine usano un linguaggio semplificato composto solo da sostantivi e verbi, senza formulare una frase: stanno copiando non la “lingua madre”, ma quella quasi crittografica che viene dall’uso prolungato e prevalente dei social media.

Alla luce di questi dati indicativi, Marco Gui, direttore del Centro Benessere Digitale di Milano-Bicocca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, non sembra avere dubbi: <<l’uso autonomo dei “media mobili” durante l’infanzia può nuocere in particolare a coloro che presentano fragilità preesistenti, in questo caso una ridotta capacità di limitare l’uso degli schermi legata al contesto familiare o a specifiche caratteristiche psicologiche>>.

Il comportamento degli adulti, delle famiglie, in questi casi diventa fondamentale

i genitori, anni fa, parlavano con i propri figli, non volevano trasformarli in “monadi digitali”, non li costringevano, fin dalla nascita, a rifugiarsi nell’autarchia pur di sopravvivere in un mondo distratto in cui gli adulti sono continuamente altrove.

Oggi, invece, i ragazzi si sentono soli, perché anche i familiari sono costantemente distratti da uno smartphone.

Ecco che diventa importante frequentare il Dipark, “il parco giochi del terzo millennio”, struttura in cui i bambini fino a 11 anni incontrano divertimento, movimento, socializzazione.

Infatti l’esecuzione seriale dei percorsi presenti all’interno del nostro playground accrescono e potenziano le capacità psicomotorie, lo sviluppo cognitivo e quello strettamente legato al pensiero, un pensiero che non sia razionalistico ma razionale – un pensiero capace di riflettere su di sé e di infondere autostima per accrescere la forza di volontà.

Quale mondo stanno lasciando gli adulti ai giovani?

È possibile usare in modo sano i social senza doversi liberare della tecnologia e vivere felici e connessi. Non dobbiamo demonizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione, ma capire come funzionano e quali comportamenti adottare per avere una buona comunicazione. Ognuno di noi ha la responsabilità di cambiare in meglio le relazioni, sia offline che online.

Un buon punto di partenza sarebbe riflettere un po’ di più sulle parole che utilizziamo e tornare a dialogare con i nostri ragazzi, per farli sentire un po’ meno soli.
«Perché la libertà non è dire tutto quello che uno pensa, ma pensare bene tutto quello che si dice a qualcuno».

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